«Israele non ha ipocrisia, è un paese franco, schietto e sincero. La sua danza è così: diretta e onesta, moderna e all’avanguardia. Il concetto della Kibbutz come “comune della danza” ha permesso di formare danzatori che vivono giorno dopo giorno forgiati in quel clima, respirandone l’aria, sentendosi liberi di creare e sperimentare». Con queste parole Luciano Cannito, direttore del Teatro Massimo di Palermo, ha introdotto l’incontro con i coreografi Rami Be’er e Noa Wertheim tenutosi al PAN di Napoli il 18 giugno, per presentare il focus della rassegna quest’anno interamente dedicato alle danze israeliane. Sensualità e sperimentazione sono le parole chiave degli spettacoli in cartellone; si parte con “Null” della celebre compagnia Vertigo Dance Company, in scena martedì 18 giugno alle ore 20.00 al Teatro San Ferdinando, segue “Birth of the Phoenix” al Parco Archeologico di Pausilypon alle ore 19.30 entrambi della coreografa Noa Wertheim, segue la Kibbutz Contemporany Dance con “ If at all” venerdì 22 alle ore 22.15 al Politeama e chiude la rassegna “Sensitivity to Heat” con Dafy Altabeb, in scena sabato 23 alle ore 21.30 al Parco di Pausilypon. Le performance sono molto diverse tra loro pur appartenendo tutte ad una comune matrice culturale; « non lavoro mai sulla musica- afferma la coreografa Noa Wertheim- da 20 anni mi ripropongo di farlo e puntualmente parto da un’idea, da un concetto per poi chiamare un compositore che crei la musica in base alla mia coreografia». Ed è proprio da questa ricerca sul corpo e sull’idea ispiratrice che nasce “Null”, i cui concetti chiave sono il movimento fluido, legato e il tema dell’infinito; « seguire il lavoro dei ballerini e “creare facendo” è una delle caratteristiche di questa composizione, così come la “contraddizione” e gli “opposti” ispirano i movimenti spezzati di “Birth of Phoenix”». Totalmente diverso è il metodo di lavoro di Rami Be’er; alla domanda della direttrice del corpo di ballo del San Carlo Alessandra Panzavolta su come si fosse evoluto lo stile coreografico negli ultimi 30anni, il coreografo israeliano ha dichiarato il suo forte legame con la musica nella composizione coreografica, sottolineando anche l’immenso valore del Kibbutz per la formazione dei ballerini; «il nostro è un “villaggio della danza” nel 1948 tra difficoltà economiche e stenti. Il Kibbutz è cambiato come tutto il paese in questi ultimi anni e la danza ne ha assorbito l’evoluzione formando giovani allievi in un clima multietnico e policulturale ». Danza come esperienza poliformativa dunque, commistione di usanze e tradizioni che innovano continuamente le ferree leggi del codice accademico in una geniale sintesi di classicismo e modernità.
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